Yoga classico
(…) Con la parola yoga ci si riferisce ad un insieme di vie che si avvalgono di metodi volti a purificare l’individuo e a metterlo in condizione di ottenere la liberazione e di unirsi all’Assoluto. Quella descritta da Patanjali negli yoga-sutra, databili tra il 600 a.C. e il 200 d.C., è chiamata Yoga Classico ma è più conosciuta come Ashtanga-yoga (yoga delle otto membra) poiché espone in otto sezioni il cammino spirituale. E’ comunque Patanjali, nel sutra II:1, a chiamare Kriya-Yoga l’insieme di tre Niyama: Tapas, Swadhyaya e Isvara-Pranidhana, pratiche rivolte a se stessi per crescere spiritualmente.
Tornando a Patanjali, la tradizione racconta che l’Assoluto, rispondendo alle preghiere dell’umanità sofferente, diresse un flusso di parole illuminate sulla lingua di Patanjali, il cui nome significa “ciò che cadde nelle palme delle mani unite” (anjali-mudra); questo per indicare l’attitudine interiore con cui i santi ricevono l’ispirazione.
Lo Yoga Darshana
Lo yoga classico di Patanjali è uno dei sei darshana accettati dall’ortodossia brahmanica. Essi sono: Nyaya, che esamina da un punto di vista razionale i mezzi di retta conoscenza similmente alla nostra Logica. Vaisesika, che studia in modo analitico, similmente alla Fisica occidentale, il carattere distintivo di ogni cosa. Samkhya, che considera l’intero Universo da un punto di vista sintetico e studia il rapporto tra la Prakrti e il Purusha. Yoga, che introduce, rispetto al Samkhya, la figura del Divino (Isvara) l’Unità da cui emanano Prakrti e Purusa. Purva-mimansa, che ispirandosi ai Veda, punta al perfezionamento dell’individualità umana per mezzo dell’azione in generale e dell’azione rituale in particolare. Uttara-mimansa, che ispirandosi alla metafisica delle Upanisad(1), orienta l’individuo verso il superamento dell’individualità risvegliando in lui la primordiale conoscenza.
Prima di continuare è importante dire che la parola darshana – dalla radice drs: vedere, osservare – indica una prospettiva, una visione del mondo, un punto di vista, un’azione con cui si esamina la realtà, pertanto darshana indica la vera conoscenza del mondo e lo yoga-darshana è la strada che l’essere umano percorre per congiungersi alla più alta conoscenza della vita.
In linea di massima la filosofia occidentale si presenta con dei concetti spesso inapplicabili alla vita quotidiana, mentre per Patanjali e in genere per tutti i saggi dell’India, i concetti più elevati sono presentati come realtà sperimentate da persone che hanno raggiunto elevati livelli di coscienza. I concetti chiave dello Yoga sono quindi il sano frutto maturo di una esperienza concreta che non è separata dalla quotidianità, e non il frutto acerbo di una astratta speculazione del pensiero lontana dalla vita ordinaria.
Già i primi due anga esposti da Patanjali ci fanno capire di essere di fronte ad un sistema che non dimentica la quotidianità della vita pratica; questi due anga consistono di dieci regole etiche che, se ignorate, vanificano il lavoro spirituale.
Tali regole sono: Yama (astinenze e non divieti come traducono alcuni, perchè la parola divieto contiene in sé concetti di trasgressione e punizione che sono completamente estranei allo yoga) in numero di cinque e Niyama (osservanze) in numero di cinque. (…)
(estratto da ANTARAYAH, intervento di Piero R. Verri al Convegno “La meditazione nelle diverse tradizioni religiose”, svoltosi a Roma il 25.06.94, organizzato dalla rivista Appunti di Viaggio.)
(1) Letteralmente “sedere accanto [al Maestro]”, testi sacri posteriori ai Veda.